Il tema dell’aggressività non perde mai il suo carattere di attualità e tiene viva da tempo l’attenzione di scienziati, educatori e politici. Scoprire le ragioni che stanno alla base della condotta aggressiva, i fattori scatenanti, l’intervento miracoloso che la elimini, costituiscono gli obiettivi di diverse generazioni di studiosi che hanno fornito i propri modelli interpretativi al fenomeno. Spesso la frammentazione e le discordanze esistenti tra i vari contributi sconcertano chi si accinge allo studio del fenomeno, soprattutto se si tiene conto delle trasformazioni che questo ha subito nel corso del tempo. I fenomeni di aggressività, se un tempo erano circoscritti all’ambiente domestico o al gruppo dei pari, oggi assumono maggiori dimensioni sia a livello scolastico che urbano. In questo contesto, nella complessità della nostra società e tra tutti i fattori che lo influenzano, l’approccio educativo deve studiare il comportamento alla luce di nuove teorie, lontane da qualsiasi riduzionismo. Il termine “aggressività” è spesso usato come etichetta onnicomprensiva che include fenomeni molto diversi l’uno dall’altro quali comportamenti, risposte emotive, processi cognitivi, l’agonismo, la dominanza e l’assertività. La definizione esatta del termine è lontana dall’essere data ma la diversità ed eterogeneità delle definizioni dipendono dall’aver considerato differenti punti di vista: si può, per esempio, valutare l’aggressività come un tratto della personalità, un istinto, un comportamento appreso, una risposta osservabile. Statts (1981) la definisce come un comportamento intenzionale avversivo per qualcun altro, e Meazzini integra questa interpretazione affermando come tali comportamenti intenzionali siano diretti a produrre un danno a persone e strutture; ciò implica che non è definibile come pensiero, immagine o qualsiasi altro fenomeno confinato agli aspetti interiori della persona: pensieri, fantasie e spinte all’aggressività, se non si esprimono in atti o in comportamenti che danneggiano gli altri, non possono essere ritenuti sufficienti a definire aggressiva una persona. Il termine comportamento comprende parole e azioni, in oltre il fenomeno aggressivo viene a volte definito in base a criteri culturali e personali per cui , ad esempio, le imprecazioni in alcune culture possono essere considerate manifestazioni aggressive, in altre no (Meazzini, 1987). Un altro notissimo interprete di quest’argomento è Bandura precisando che un comportamento viene definito aggressivo in funzione della struttura fisica, del sesso e di altre caratteristiche dell’aggressore più che del comportamento stesso: così un ragazzo che reagisce con la forza a situazioni frustranti può essere definito “affermativo” cioè capace di far valere le proprie ragioni, mentre se lo stesso comportamento viene esteriorizzato da una ragazza si è propensi ad etichettarla come aggressiva. La stessa reazione dell’aggredito gioca un ruolo determinante nella valutazione dell’atto aggressivo; l’avverbio “intenzionalmente” denota che un atto si può definire aggressivo solo quando è prodotto con una determinata intenzione di danneggiare qualcosa o qualcuno ed anche in questo caso possono nascere problemi interpretativi. Anche il termine danno chiama in causa la soggettività, per cui chi subisce l’azione può definirla dannosa o meno in quanto non esistono parametri oggettivi di valutazione: i valori dell’aggredito costituiscono l’unico metro di misura della dannosità di un determinato comportamento. Alcuni studi effettuati sull’aggressività hanno superato la semplice analisi delle caratteristiche fenomeniche del comportamento aggressivo; tra tali studi possiamo citare il contributo della corrente etologica, la quale ha considerato l’aggressività tra le potenzialità adattive dell’uomo. Questa nuova concezione ha contribuito a spostare l’attenzione degli studiosi sulle caratteristiche dinamiche del fenomeno aggressivo e sulla funzione che esso svolge nel processo adattivo dell’individuo; dove per adattamento non si intende un passivo adeguarsi all’ambiente circostante ma, come riteneva Piaget, la ricerca di un equilibrio e di integrazione sempre maggiori tra individuo e ambiente, tra fattori interni e fattori esterni. L’aggressività costituisce una delle possibilità di base della persona, allo scopo di permette un rapporto più adattivo con la realtà; si tratta di una spinta indispensabile, che consente alla persona un atteggiamento attivo di fronte al reale. Questa potenzialità adattiva comporta due momenti fondamentali, strettamente correlati nella loro funzione e manifestazione: l’espansione e la difesa. L’aggressività espansiva costituisce una potenzialità al servizio della persona, cui dà l’energia necessaria per sperimentare se stessa e per superare gli ostacoli che si frappongono alla sua realizzazione. Questa funzione espansiva si avvicina al concetto dell’aggressività come ad-gredi, definita da Ammon come un’attività volta all’auto-realizzazione, all’esplorazione e al tentativo di vincere l’ambiente, veicolo quindi dell’attività creativa. L’aggressività non è soltanto una forza verso la realizzazione di sé dispetto e contro tutti gli ostacoli che si possono incontrare; essa non è solo la molla per la costruzione e l’espansione della propria identità, ma viene messa in atto, quando questa identità è minacciata, per uno scopo prevalentemente difensiva. L’aggressività difensiva si configura come una forza utilizzata per difendere la propria identità che è minacciata da un pericolo. L’individuo tende a mettere in atto l’aggressività difensiva non solo quando avverte una minaccia alla sua integrità fisica, ma anche quando la minaccia è rivolta alla sua integrità psichica. Egli è portato all’aggressività difensiva anche quando viene messa in pericolo la sua Weltaschaung, il sistema di valori in cui crede e per cui vive. L’aggressività difensiva viene, quindi, mobilitata quando la persona incontra minacce reali, oppure minacce che egli percepisce come tali a causa della propria insicurezza. L’aggressività espansiva nell’infanzia costituisce una forza che dà al bambino la possibilità di lottare contro i legami di dipendenza delle figure parentali (genitori, nonni) e di costruire la propria identità di individuo autonomo e differenziato dall’ambiente. Questo lungo cammino verso l’autoaffermazione raggiunge il suo scopo solo se il bambino ha la possibilità di sperimentare, nello scontro con gli ostacoli che la realtà presenta, se stesso come essere attivo e autonomo. A questo proposito Stoor nota come la repressione dell’autonomia o impossibilità per il bambino a sperimentarla siano alla base delle manifestazioni aggressive più distruttive. In tale situazione il bambino non struttura una salda identità; egli è portato a pensare che ogni autoaffermazione sia sbagliata e che le difficoltà ambientali vengano vissute come minacciose per il proprio io. L’uomo è un essere sociale, che vive continuamente in rapporto con gli altri, con i quali si identifica: è corretto quindi, riferirsi all’uomo parlando da un lato di una sua identità individuale e dall’altro di una sua identità sociale. L’aggressività difensiva, perciò, verrà posta in atto dall’individuo anche quando questi vede minacciati le persone con cui ha stabilito le identificazioni e con cui condivide un determinato quadro di valori, in quanto tale attacco è vissuto dall’individuo come rivolto verso se stesso (Bonino, Saglione 1980). Dalle ricerche etologiche sui meccanismi di inibizione dell’aggressività hanno dimostrato come essi si fondano sulla capacità di identificazione con l’altro. L’uomo è fornito di inibizioni istintuali all’aggressività verso l’altro: il riconoscere il prossimo uguale a sé porta al suo rispetto ed alla non aggressione nei suoi confronti (Eibl-Eibesfeld 1970). Perché questo avvenga è indispensabile che la persona abbia strutturato una salda identità, alla cui base c’è il precoce rapporto positivo con una figura significativa, che è essenziale per favorire nel bambino la formazione della fiducia nel mondo esterno e quindi negli altri, così da permettergli di stabilire, in seguito, validi rapporti sociali e di riconoscere gli altri uguali a lui.
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